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Nell’emergenza coronavirus le imprese devono ragionare come startup

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Nell’emergenza coronavirus le imprese devono ragionare come startup

La digital transformation “obbligata” dall’emergenza coronavirus costringe le imprese a improvvisi cambiamenti, come succede alle startup. Utilizzare nuove tecnologie, coltivare una cultura dell’errore e decidere rapidamente sono le caratteristiche fondamentali per affrontare la crisi pensando al futuro

Le crisi stimolano la creatività e il cambiamento, questo perché le imprese, per fronteggiare l’emergenza coronavirus, sono costrette a ragionare sulle priorità. Una condizione tipica delle start-up, organizzazioni che hanno l’efficienza e la velocità nel loro DNA: dispongono di risorse limitate, dunque sono abituate a ottimizzare per lavorare massimizzando i risultati.

  • La digital transformation obbligata
  • Quel che serve per lavorare a distanza: le soluzioni delle startup 
  • Un nuovo rapporto di fiducia fra impresa e dipendente
  • Le due traiettorie: proiettarsi verso il futuro o stare fermi
  • Perché serve la cultura dell’errore

La digital transformation obbligata

L’emergenza che stiamo vivendo in Italia a causa del COVID-19 ha sicuramente obbligato tutte le aziende a ragionare come se fossero start-up. Ed è questa la soluzione che può permettere loro di uscire dalla crisi: il cambiamento. Forse questa digital transformation “obbligata” ci può aiutare ad apprezzare gli effetti positivi di nuovi assetti tecnologici e un nuovo approccio culturale, soprattutto nel lavoro.

Videoconferenze, selezione del personale, video in streaming, ma anche percorsi di apprendimento a distanza. In questa circostanza tutti stiamo apprezzando la tecnologia che ci permette di affrontare un’emergenza grave senza stravolgere eccessivamente le nostre vite. Almeno sotto l’aspetto professionale. Se da un lato a tutti sono stati richiesti sacrifici, come la rinuncia a molti contatti sociali, per rallentare quanto possibile la diffusione di una malattia con la quale probabilmente dovremo imparare a convivere per un po’, dall’altro abbiamo la possibilità di cogliere una nuova sfida per cambiare e migliorare il nostro approccio al lavoro.

La  tecnologia che già oggi abbiamo a disposizione ci permette di lavorare  riducendo al minimo gli incontri fisici

Quel che serve per lavorare a distanza: le soluzioni delle startup 

La tecnologia che già oggi abbiamo a disposizione ci permette di lavorare riducendo al minimo gli incontri fisici: infatti l’efficienza e l’efficacia di quello che facciamo non è diminuita, anzi in molti casi è addirittura aumentata.

Gli strumenti per cambiare il modo di lavorare li abbiamo e, oltre alle tante piattaforme più note, ci sono anche soluzioni di matrice italiana. Basti pensare a Bandyer, la soluzione di comunicazione e collaborazione integrata che permette di vivere l’ufficio da casa, o a Yobstech, il portale che semplifica i colloqui di lavoro utilizzando l’analisi delle videocomunicazioni per trarre tutte le informazioni necessarie sui candidati. Ma anche House264 che con streaming e produzioni video interattive ci sta aiutando a realizzare eventi digitali, che non richiedono la presenza delle persone in un unico luogo. Così come Fattureincloud, che permette alle aziende di gestire da remoto tutta la propria contabilità, o Fluida, che digitalizza i processi per la gestione del personale e dei collaboratori esterni, gratuita fino a 10 dipendenti. Non è una soluzione per le aziende ma di questi tempi non si può non citare Redooc, la piattaforma di formazione a distanza dedicata alla matematica per studenti dalla scuola Primaria all’Università, o anche Uniwhere, l’efficace soluzione che aiuta gli studenti universitari a ottimizzare il proprio percorso accademico. Per finire c’è ForTune, startup di Reggio Emilia che propone una piattaforma di podcast con mini-storie di qualità in base all’argomento scelto dall’utente.

Un nuovo rapporto di fiducia fra impresa e dipendente

Insomma, gli strumenti ci sono, ma quello che serve veramente è un cambio di paradigma che parte da un nuovo rapporto di fiducia tra impresa e dipendente, che non valuti più la qualità del lavoro in base alle ore passata alla scrivania, bensì sui risultati raggiunti.

D’altra parte, in un ecosistema sempre più competitivo chi non sa cambiare è destinato a soccombere. La crisi di un virus che cresce in maniera esponenziale diventa quindi un’opportunità per stimolare la creatività e il cambiamento. Sebbene le preoccupazioni siano grandi, dobbiamo cogliere il lato positivo della situazione: oggi siamo costretti a metterci in gioco, a sperimentare soluzioni nuove.

Fare resistenza è controproducente, meglio provare, in un certo senso anche a rischiare, con la consapevolezza che anche gli errori ci aiuteranno a crescere. E fare notevoli passi avanti in termini di innovazione. È inutile girarci intorno, accelerare l’approccio al digitale è l’unico modo per garantire la sopravvivenza di molte aziende. Chi riuscirà a farlo, seppure forzato da agenti esterni, uscirà dalla crisi più forte di prima e pronto ad affrontare e superare nuove sfide.

Le due traiettorie: proiettarsi verso il futuro o stare fermi

È innegabile che il modo di fare impresa stia cambiando radicalmente: una rivoluzione che disegna con chiarezza due traiettorie. La prima mostra le aziende proiettate verso il futuro (la vera natura di una start-up), la seconda quelle che scelgono di restare ferme.

Quando avremo superato questo delicato momento, chi avrà avuto il coraggio di portarsi avanti sfruttando la tecnologia e cambiando la cultura aziendale avrà un consistente vantaggio competitivo rispetto a chi ha semplicemente cercato di limitare i danni. Le aziende che avranno la forza di restare concentrare sulle loro priorità senza tagliare gli investimenti in innovazione riusciranno a ribaltare il paradigma e fare di questa crisi una grande opportunità.

Ma senza un cambiamento culturale radicale nessuna modalità innovativa potrà avere successo: fino a quando l’innovazione sarà percepita come un rimedio tattico resteremo ancorati a modelli di management superati e sorpassati.

Le aziende che avranno la forza di restare  concentrare sulle loro priorità senza tagliare gli investimenti in  innovazione riusciranno a ribaltare il paradigma e fare di questa crisi  una grande opportunità.

Perché serve la cultura dell’errore

Senza errore non c’è cambiamento, innovazione, progresso. Abbiamo bisogno di una cultura dell’errore. Quella che ha fatto diventare grandi tante start-up, da Google a Facebook a Tesla. Prendere decisioni in fretta per cogliere un’opportunità può indurre in errore: non può e non deve essere un problema, ma un’altra occasione di apprendimento.

Se mi muovo veloce non posso che fare errori, questo però mi insegnerà qualcosa che mi permetterà di continuare a muovermi velocemente, facendo un po’ meno errori. E così via, avviando un circolo virtuoso che permette di operare a una velocità superiore agli altri. “Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano”: lo diceva il pilota di Formula 1, Mario Andretti. Uno che di successi e di velocità se ne intendeva. È un modo efficace per rappresentare la cultura da start-up che tanto farebbe bene alle aziende italiane.

Più di tutto, in questo momento, serve la visione e il coraggio per andare avanti. Indietro, ci siamo già stati.

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